E' bastato un singolo per farla conoscere velocemente in tutto il mondo.
La giovanissima cantante il cui nome è un omaggio a Lana Turner, sforna un bel disco (questo è il suo secondo lavoro), melanconico languido e decadente.

Si presenta con questa immagine Lana Del Rey: pura e semplice con un camicetta di seta bianca, indifesa con quel viso da bambola, vintage con quel tocco di anni ‘50. Sembra che non possa fare del male a nessuno. In realtà, proprio come nei migliori colpi di scena, ci troviamo dinanzi al classico caso in cui esclamare “l’abito non fa il monaco”.

Alcuni l'hanno già definita la nuova Adele, niente di più sbagliato. La voce di Adele è potente mentre quella delle Lana è asservita alla musica e con lei si fonde.

E’ questo il prologo che caratterizza la storia di Lana e del suo disco di debutto “Born To Die”, una storia che è destinata a durare tanti capitoli, tutti caratterizzati da un andamento che di sicuro porterà ad un lieto fine.

Video Games è il singolo di debutto. Era facile immaginare che tale struttura musicale lenta, solenne e per certi versi pesanti potesse essere snobbata dal pubblico pop. E’ accaduto l’esatto contrario invece: Video Games ha permesso alla Del Rey di farsi conoscere e di diventare la nuova promessa del pop.

Born To Die. Un’efficace sessione d’archi introduce nel mondo ovattato della cantante e riesce a contribuire alla creazione dell’effetto nostalgia a cui richiama la canzone. Il registro vocale basso che Lana sfoggia nelle strofe cede il passo ad un travolgente falsetto caratterizzante il ritornello.

Diet mountain dew è una sorta di rap cantato in un modo veramente retrò, National anthem sempre un brano alla Eminem per intenderci e poi Dark paradise sicuramente il terzo singolo veramente bello.

Ascoltatelo. Profondo, triste e sincero.

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